Prendete
una braciuola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo,
tagliata dalla lombata di vitella [ ], mettetela in gratella a
fuoco ardente di carbone, così naturale come viene dalla bestia
o tuttal
più, lavandola e asciugandola; rivoltatela più volte,
conditela con sale e pepe quando è cotta, e mandatela in tavola
con un pezzetto di burro sopra. Così un centinaio di anni
fa, il grande Pellegrino Artusi descriveva la preparazione della bistecca
alla fiorentina. Non ci dice nulla su quella vitella, perché
dilungarsi sarebbe stato pleonastico: è chiaro che in Toscana
la vera fiorentina sia solo di razza chianina.
È una razza antichissima, di probabile origine umbro-etrusca,
che viene allevata da almeno 22 secoli nella media valle del Tevere
e nella valle di Chiana. Belli e possenti con il loro mantello bianco
porcellana, le corna brevi e la testa leggera, questi animali si muovono
con eleganza nel loro tronco lungo e cilindrico dal dorso e lombi larghi,
e con quei lunghi arti dagli appiombi perfetti. Alla Fattoria Poggio
Alloro di San Gimignano i vitelli, dopo i primi 6 mesi di allattamento,
vengono svezzati con una dieta a base di farine di mais,
grano e orzo esclusivamente prodotte in aziende, fieno dinverno
ed erba destate.
Macellati quando hanno raggiunto i 18 mesi detà e i 700
chilogrammi di peso, i vitelli presentano una carne magra, dal bel colore
rosso chiaro, la grana fine e dalla grande tenerezza.
Trentanni fa erano quattrocentomila i capi di bovini di razza
chianina in Italia, oggi sono meno di centomila, sempre più minacciati
dalla carne di vitello straniera (che costa meno perché di qualità
inferiore). Nel Parco Nazionale dAbruzzo sembra sia tornata la
lince, a lungo considerata estinta. Per evitare che anche la chianina
corra questo rischio, dobbiamo contribuire attivamente: quando andiamo
a comprare una fiorentina evitiamo di dire mi dia quella che costa
meno! e torniamo a casa con una bella bistecca di un chilo e più
di chianina.
Cuciniamola solo alcuni minuti cosicché tagliandola, getti
abbondante sugo nel piatto (è sempre lArtusi che
parla) e gustiamola sorseggiando un buon bicchiere di Chianti. Come
diceva un vecchio saggio del mio paese: la vita è breve, il destino
è beffardo e a tavola è sempre meglio avere rimorsi che
rimpianti.
I SALAMI
DI CINGHIALE
Ugo
Tognazzi, che di cucina ed eros se ne intendeva, asseriva che il cibo
per diventare afrodisiaco deve essere aiutato dalla nostra fantasia,
anche se, ammetteva, era indubbio che certi cibi come la cacciagione,
le ostriche e il peperoncino predispongono meglio di altri al convegno
amoroso. Del cinghiale, poi, utilizzava solo il lombo, da fare
stufato, e il cosciotto, marinato e brasato alla Ugo.
Un bicchiere di Barolo Zonchetta di Ceretto nel primo caso e un Tignanello
di Antinori per il cosciotto, servivano per completare il rito della
seduzione.
A queste preparazioni vorrei aggiungerne una, che ho testato personalmente
in un agriturismo toscano qualche tempo fa: si prende una fetta di
pane toscano cotto a legna, leggermente abbrustolita sulle braci,
la si spalma con un velo di burro di malga ricoprendola con sottili
fette di salame di cinghiale. Il successo è assicurato!
Se il problema è quello del salame di cinghiale suggerisco
la Buca di Montauto di San Gimignano, che ne prepara di
eccellenti. Al naturale; aromatizzati con Chianti, Vernaccia o Brunello;
creativi con il mirto che cresce spontaneo nei boschi
circostanti, il tartufo nero estivo, oppure i gherigli di noce. Per
questi salami si utilizzano la pancia e la spalla di cinghiali allevati
semibradi in azienda e nutriti esclusivamente con orzo e crusca e,
destate, con susine, prugne e pomodori. La carne viene accuratamente
ripulita del grasso (il suo sapore di selvatico potrebbe
rovinare il gusto) e macinata a grana media assieme a grasso di pancetta
di suino. Limpasto viene prima conciato e poi insaccato nel
budello suino, lasciato maturare alcuni giorni in locali caldi e poi
a stagionare da 1 a 2 mesi a seconda della pezzatura.