Il Prosciutto
di cinta senese
La
sensazione è quella di essere entrato nel Jurassic Park spielberghiano.
Ci si lascia alle spalle Casole dElsa e la strada, a mano a mano
che si prosegue, diventa più stretta, sconnessa e impervia, fintanto
che non termina lasfalto e inizia una delle tante strade bianche
di questa splendida parte di Toscana. Un paio di chilometri in mezzo
a una natura incontaminata e si arriva alla fattoria di Marino Garaffi,
uno dei salvatori, nonché mentore di quella che fino a pochi
anni fa si considerava destinata ad arricchire le didascalie dei musei
archeologici: la Cinta senese.
Particolare tipo di razza suina autoctona dei dintorni della
città di Siena e in particolare della montagnola senese e delle
colline del Chianti senese, è caratterizzata da un mantello scuro
con una fascia bianca che cinge il torace, il garrese, le spalle e gli
arti anteriori, così si legge in un documento della Compagnia
della Cinta che ci svela i motivi dellarcano nome. Ritratta da
Ambrogio Lorenzetti nel suo affresco Effetti del Buongoverno (1338-40),
questa razza suina si ritrova in raffigurazioni successive come nel
pavimento della chiesa di San Sebastiano-Cappella dellAnnunziata
(1510) e anche nellaffresco di Sant Antonio Abate nella
Cappella di Casanuova di Ama (1596).
Il cinto vive esclusivamente brado, in inverno si ciba prettamente
di castagne e ghiande prediligendo, tra queste ultime, quelle dolci
di quercia a quelle amare di leccio, mentre destate la dieta
è composta di cereali, pomodori e mele che Marino prende al mercato.
Gli animali vengono macellati dopo 18-22 mesi quando raggiungono un
peso di circa 160 kg, una quarantina circa ogni inverno seguendo durante
lanno, per il consumo, lantico ciclo di un prodotto per
ogni stagione. Prima la salsiccia, poi dopo 2 mesi di stagionatura il
salamino piccolo, quello tra i 7 e gli 8 etti; il salame più
grande, di un chilo e mezzo, dopo 3 mesi; continuando con la sbriciolona,
la spalla e, dopo almeno 10 mesi, il prosciutto.
Mentre Marino parla di guerra e partigiani, la moglie Rosa racconta
come e quando si prepara il prosciutto, continuando a offrirmi fette
di un superbo esemplare di 11 mesi, sapientemente tagliato al coltello.
Inebriato dal sapore soffice, più dolce del prosciutto toscano,
dal profumo intenso e magro con un contorno di grasso appena accennato,
apprezzo sempre più la puntualità delle informazioni e
la velocità del taglio.
Per ottenere un grande prosciutto di Cinta, la coscia viene prima massaggiata
con aceto di vino, poi spalmata con aglio in poltiglia, pepe e successivamente
coperta di sale. Al termine di una salatura che si protrae tra i 20
e i 28 giorni, la coscia viene lavata con acqua, poi un altro massaggio
di aceto. Asciugato e poi coperto con pepe nero macinato, il prosciutto
viene fatto meditare in cantina per un periodo che può
raggiungere i 17 mesi. Prego: non mettete piede in questo regno di Marino!
In verità è un vero girone dei golosi risalente al Medioevo,
che emana profumi e tenta a tal punto da mettere in dubbio le certezze
del più convinto dei vegetariani.
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IL
PECORINO DI PIENZA E LA SBURRATA
Prampolini,
Marinetti e Fillia, con il manifesto della cucina futurista, ma anche
il Vernazza pensando alle sue pallottole sferiche perfette fatte
da ciliegie allo spirito, senza gambo, avvolte con pasta di ricotta
per ornare la cotoletta-tennis, (una delle sue tante formule di
cucina), non avrebbero mai immaginato che si sarebbe potuto arrivare
a tanto. E invece
eccoti il Caseificio Cooperativa della Val dElsa
che incarna la proiezione nel futuro, ladesione al dinamismo della
modernità lelogio della macchina che appunto sono lessenza
del movimento futurista.
Lambiente è asettico, con i suoi serbatoi coibentati e
refrigerati, le caldaie polivalenti e le linee di formatura dove limpilatura
dei blocchi-stampo avviene in automatico, mentre le mani si usano solo
dove è necessario: per girare e per lavare le forme, oppure per
riempire gli stampi. La Cooperativa della Val dElsa è lesempio
di un equilibrato connubio tra artigianalità e tecnologia.
Ma se il braccio è lautomatizzazione, la sapienza delluomo
funge ancora da mente. Ogni giorno larte del casaro si esprime
nel momento e nelle modalità del taglio della cagliata: unoperazione
che non potrà mai essere fatta automaticamente. Solo una trentina
di persone lavorano ogni giorno fino a cinquecento quintali di formaggio;
eppure siamo lontani da quei prodotti stereotipati e dal gusto omogeneo
che spesso troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati.
Molto dipende dal latte, che la Cooperativa ottiene dai greggi di tutti
i suoi soci, che proviene da Poggibonsi, Casole, Asciano, Radicondoli
e altri comuni della zona. Questo vale sia per il pecorino di Pienza
sia per la Sburrata di pecorino, i due formaggi tipici di questa zona.
Prodotto da novembre a luglio (anche se il migliore è quello
dei mesi primaverili) il pecorino di Pienza si ottiene con solo latte
intero di pecora, sale, caglio di vitello e fermenti lattici. Può
essere consumato fresco, dopo una ventina di giorni di maturazione,
oppure stagionato se lo si lascia riposare per almeno due mesi. Quello
fresco presenta una pasta tra il bianco e il paglierino, dal sapore
dolce pastoso, ma con un fondo leggermente piccante. Lo stagionato,
invece, si riconosce facilmente per la crosta abbucciata di colore rosso-arancione,
se trattata con olio e pomodoro, o marrone se trattata con olio e cenere;
a differenza del pecorino fresco risulta più friabile e farinoso,
quasi gessato, e con un sapore più spiccato.
La Sburrata si può preparare o con solo latte di pecora oppure
con latte misto di pecora e vaccino. La pasta è semicotta, la
cagliata è rotta in maniera grossa; è un formaggio fresco
che si consuma entro venti giorni, un mese al massimo. Dal peso variabile
tra un chilo e un chilo e mezzo ha un sapore dolce e fresco che si accompagna
ottimamente con le fave.
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