A Montalcino tra buristo, salame bastardo, olio e Brunello

"Oggi il grasso non lo vuole piŻ nessuno." Sentire questa frase sulla spiaggia di Forte dei Marmi avrebbe avuto il significato di un normale pettegolezzo estivo, commento invidioso a una giovane e aitante coppia di fidanzati. Ma nel comune di Montalcino, nel laboratorio di lavorazione carni di Vasco Sassetti, a Castelnuovo Abate, non può che lasciare sbalorditi. Si sta parlando del maiale!

L'incontro era cominciato con la domanda di rito: "Ma il salame che si fa oggi è buono come quello di trent'anni fa?". Questa è stata la risposta perentoria del Signor Vasco: "Il giovane in giacca e cravatta che al ristorante priva la mortadella delle sue bianche gocce di sapore con l'abilità che ha il chirurgo col bisturi; la massaia che dal salumiere termina ogni frase con un ...e mi raccomando che sia magro..., sono le immmagini che ti balzano alla mente. E certo come si può parlare di buono, è un concetto cosĄ soggettivo; sicuramente sono diversi".

Sassetti fa questo lavoro da una vita, ha imparato a lavorare la carne di maiale e di cinghiale da bambino, prima guardando gli adulti e poi, inverno dopo inverno, partecipando in maniera sempre piŻ attiva. Come un rituale di affiliazione che sanciva il passaggio dalla giovinezza all'età adulta.

Da quando Vasco bambino seguiva con occhi attenti le fasi della lavorazione del maiale, molte cose sono cambiate. I gusti, le abitudini alimentari, i diversi ritmi di vita hanno fatto sĄ che "la gente non compri piŻ l'insaccato secco, grasso e salato" å continua Sassetti å "obbligando i norcini ad adeguare i propri prodotti".

In questo lembo d'Italia, nel dopoguerra, i maiali della razza Cinta senese vivevano bradi e mangiavano ghiande. Si uccidevano tra dicembre e febbraio, erano maiali belli grassi, di un grasso giallognolo dal profumo persistente. Ogni periodo dell'anno era cadenzato dal consumo di una diversa parte del maiale. La macellazione era un momento di festa, "l'immancabile" polenta era accompagnata, finalmente, dalle animelle, la parte sanguinolenta della gola. Poi del maiale si consumavano prima il buristo e la soppressata, e solo successivamente il prosciutto e il salame bastardo.

Oggi la Cinta senese è in via d'estinzione, il maiale è di allevamento e si ciba principalmente di granturco e soia, mentre ogni insaccato è presente sulla tavola in qualunque momento dell'anno. In ossequioso rispetto delle tre regole di "Magro, Morbido e Delicato" la carne del maiale ha un sapore e una consistenza inevitabilmente piŻ tenue, la stagionatura soprattutto dei salumi è piŻ breve, la quantità di sale è minore.

Tra i prodotti piŻ tipici che caratterizzano la produzione di Sassetti e degli altri artigiani di Montalcino sicuramente ci sono il salame bastardo, chiamato "mezzone" nella zona di Greve in Chianti, che utilizza sia carne che grasso duro suino, mentre una parte del grasso è tagliato a mano, il resto viene prima macinato e poi impastato con sale, pepe, aglio e quindi insaccato nel budello naturale. Si lascia stagionare per alcuni mesi a seconda delle dimensioni, quelli piŻ grandi anche quattro mesi, mentre per i piŻ piccoli la stagionatura è piŻ breve. Solo nel periodo che va da novembre-dicembre a tutto marzo si prepara il buristo, che in altri luoghi della Toscana viene chiamato anche "burischio" o "mallegato". Questa prelibatezza richiede l'utilizzo delle parti della testa e delle cotenne del maiale, prima cotte e poi macinate, alle quali si aggiungono sangue suino filtrato e lardelli soffritti portati a mezza cottura. L'impasto si condisce con sale, pepe, e si insacca nello stomaco del suino cucito con filo; lo si consuma cotto appena prodotto.

Il Brunello

Perché lo hanno chiamato "Brunello"? Non è una località né un vitigno, eppure contraddistinge probabilmente il vino italiano piŻ conosciuto nel mondo. è un nome di fantasia, antesignano di un modo moderno di chiamare i vini che non hanno una storia da raccontare. Invece il "brunello" ha compiuto oltre cent'anni. Il nome deriva dal colore caratteristico, a seguito del quale sembra che i contadini del comune di Montalcino chiamassero quel vino rosso che è stato "inventato" da Ferruccio Biondi Santi, il quale forte dell'esperiena vitivinicola del nonno materno, farmacista enologo, selezionò un clone particolare del sangiovese nella sua tenuta Greppo, le cui uve, vinificate senza l'aggiunta di altre varietà, dettero inizio a una tipizzazione nuova dei vini toscani di allora.

Per un lungo periodo il Brunello è rimasto una questione privata dei Biondi Santi, forse gli unici che avevano creduto sulle potenzialità di questo rosso. Solo un'altra famiglia, i Colombini, si era convinta del valore di questo vino; il debutto nel 1961 della loro etichetta con la dicitura Brunello accanto allo stemma di famiglia ebbe come conseguenza la rottura dell'amicizia con i Biondi Santi che sentivano questo "marchio" come di loro proprietà.

Il Brunello, però, dalla fine dell'Ottocento sino alla metà degli anni Settanta non è stato un vino molto diffuso e apprezzato. Le cose cambiano attorno alla fine degli anni Settanta, quando comincia la grande corsa al Brunello. Infatti in quel periodo il mercato interno e i turisti tedeschi, inglesi, svizzeri e americani cominciano a scoprire questo rosso toscano, un vino per chi ha molta pazienza, come viene piŻ volte titolato. è un vino che deve essere invecchiato almeno quattro anni, di cui tre e mezzo in fusti di rovere e castagno; dopo questo periodo, l'iniziale colore rubino intenso volge al granata acquistando un sapore asciutto, caldo robusto ed armonico e un intenso profumo caratteristico.

L' Olio Extravergine d'Oliva

Si stava meglio quando si stava peggio. è un luogo comune che funziona sempre nei pour parler obbligati durante le code di attesa allo sportello delle Poste. Ma non funziona per l'olio prodotto a Montalcino. Anche per l'olio, come per il vino che faceva il nonno, l'equazione "genuino = di alta qualità" non funziona. Infatti, quante volte il bicchiere di vino è stato distrattamente rovesciato perché il liquido che conteneva, seppur nato dall'amorevole calpestio di piedi, era piŻ simile all'aceto? La genuinità è una condizione necessaria ma non sufficiente per fare un olio eccellente: professionalità e competenza sono due ingredienti indispensabili.

Per fare un grande olio extravergine d'oliva servono olive raccolte al punto giusto, l'ambiente ottimale, una molitura a freddo con macine di pietra e tanta passione. L'impegno è rimasto immutato, le olive provengono dalle cultivar leccino, moraiolo e frantoio a cui il clima caldo attribuisce una grande forza e struttura, le "molazze" di pietra continuano il loro moto perpetuo nella vasca circolare chiamata trogolo.

Dal profumo non particolarmente intenso, e con un sapore piŻ grasso rispetto all'olio prodotto nelle altre zone della Toscana, quello che si fa oggi a Montalcino è sicuramente migliore di quello che si faceva quarant'anni fa. Questo perché tutti sono consapevoli che questa sia terra di qualità e non di quantità. "Un tempo si badava alla resa", come confida Ferdinando dell'azienda agricola Fanti, 'le olive dovevano fornire quanto piŻ olio possibile, per fare ciò le olive erano raccolte e ammucchiate per circa dieci giorni." L'olio era abbondante, cosĄ come alto era il suo grado di acidità. Oggi le olive si raccolgono, si sistemano in piccole cassette per poi procedere nel piŻ breve tempo possibile alla frangitura.

 

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