Damiàn Ortega si è imposto di recente all’attenzione della scena dell’arte internazionale come uno dei più interessanti artisti dell’ultima generazione. Presente alla mostra Squatters nel 2001, la primavera successiva ha avuto una mostra personale a New York (galleria d’Amelio Terras) e nell’autunno 2002 l’ICA di Philadelphia lo ha invitato a tenere la sua prima mostra in uno spazio museale. Nato a Citta del Messico dove tuttora risiede, Ortega è attivo in diversi ambiti, dalla scultura, all’installazione, al video. In tutto il suo lavoro gioca una presenza significativa l’attenzione a tematiche sociali come per esempio nel caso dell’intervento realizzato a Porto e a Rotterdam per Squatters dove l’artista ha attivato una raccolta di fondi cercando adesioni per innescare un processo di pulizia dell’aria inquinata dallo stile di vita all’occidentale.

Nel lavoro di Damiàn Ortega, la capacità di prendere posizione sulle emergenze contemporanee, coesiste in un efficace equilibrio con l’interesse costante alla forma e alle declinazioni che essa può prendere, anche in casi estremi come questo dove il soggetto, l’aria, è immateriale.

Ispirato da oggetti semplici e di uso quotidiano, quali le picozze, le palline da golf, i mattoni, o recentemente una macchina, l’artista ne decostruisce il senso e la funzione per la quale essi sono stati costruiti e li altera rivelandone componenti nascoste, implicite, aspetti diversi o simbolici e dando vita a delle forme ibride.
Ortega si confronta con i codici della scultura tradizionale per esempio posizionando un obelisco commemorativo alto tre metri sulle ruote (Obelisco con rueditas), producendo una picozza umanizzata che, nello scalfire il pavimento, appare sfinita dallo sforzo (Pico Cansado), creando una sorta di ponte di sedie legate e incastrate l’una con l’altra in un ambiente domestico che sembra avere preso forma con un procedimento spontaneo (Self Constructed Bridge) o, ancora, schierando in una formazione dinamica i carrelli del supermercato (Vision Simultánea).
L’artista trasforma oggetti e situazioni con irriverenza ma senza ridurne il senso del suo lavoro ad una visione unica. Ne emerge così una realtà segnata da uno sguardo ironico e giocoso, capace di creare un corto circuito per cui anche questioni terribilmente serie risultano allo stesso tempo profondamente irrisorie.
Mettendo l’accento sull’inutilità fa sì che affiori un senso altro su un altro piano svincolato dalla logica stretta della produzione: lo scarto avviene rendendo protagonisti aspetti apparentemente marginali, come nel caso di una recentissima serie fotografica dove l’artista ritrae le piante capaci di crescere ritagliandosi letteralmente uno spazio vitale, tra le fenditure dell’asfalto.