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Diamond,
Cingolani, Martegani. La prima
getta, in nero e in marmo, l'ombra di ciò che non c'è più.
L'ombra di una delle decine di torri che sono sparite dal cielo di San
Gimignano. Così parla con e di ciò che è assente.
Con la speranza della memoria (perché anche senza torre tu cammini
sulla sua ombra) e la disperazione per ciò che è perduto
(perché l'ombra è rotta, come un bastone che rompe l'illusione
ottica quando lo metti nell'acqua). Altrove nella città, in una
strada dove non vengono turisti o soltanto per caso, lei, nella linea
leggermente incurvata delle sue parole cesellate in rame, si rifà
a una vecchia pittura nella quale il santo patrono conserva sul suo grembo
la città in una vallata leggermente incurvata. Anche qui lei sfiora
soltanto, quasi invisibilmente, il passato e rianima con ciò il
nostro presente. Il secondo, Cingolani, è andato a vedere dietro
le finestre dove nessuno ha perduto qualcosa, dove nessuno cerca qualcosa.
Finestre che non abbandonano i loro segreti. Finestre non del soggiorno
o del salotto, ma finestre di stanze vuote e sperdute. Finestre verso
le quali nessuno guarda e dalle quali nessuno guarda. Lui sostituisce
le finestre con vetri dipinti con figure che improvvisamente fanno rivivere
gli angoli oscuri e perduti in un mare di luce e in uno strano commento,
gesticolato comicamente. Come se le finestre comunque, dopo secoli di
silenzio, volessero abbandonare i segreti dietro i vetri. Qualche personaggio
ride tra sé e sé in modo strano. Ma chi ride dell'altro?
L'ironia del turista? Forse. Il terzo, Martegani, crea una guida fotografica
per visitare posti di cui il turista medio non ne conosce l'esistenza
e che comunque non avrebbe a cuore. Chi compra la guida sa di essere sostenuto
nel percorso dall'artista. Un cammino fuori dalla città. Un cammino
di cose che spesso nella loro anima nascosta ci parlano più delle
persone e della materia che dei monumenti tradizionali, storici, visti
e fotografati in serie. Pietre di una banale chiesa, oggetti sentimentali
in un soggiorno: l'artista si impegna per questo, indica per un momento
queste cose e le tocca. E da qualche parte in una fortezza logorata dal
tempo in cima ad una collina, costruisce una voce che parla dalla profondità
di un pozzo. Le persone gettano sempre piccole pietre in un pozzo. Poi
aspettano che la profondità risponda con l'eco di un tonfo. Perché
le persone vogliono che il pozzo parli. Vogliono assaporare il segreto
della profondità insondabile. Vogliono sentire ciò che non
possono vedere. L'artista aiuta a tradurre il modello delle nostre azioni.
E anche ad infrangerlo. In un momento di riflessione e di umorismo. E
in un pozzo secolare. Come se, di nuovo, il passato parlasse. Con noi
e di noi.
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Chi
risponde là dal pozzo?
Con chi ridacchia quel tipo là dietro quella finestra?
Cosa fa quell'ombra là senza torre?
Jan Hoet
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