Ottonella Mocellin

Una storia si dipana come un gomitolo all’interno dell’antica casa dalla cantina al sommo della torre, dall’oscurità alla luce, dal basso in alto. Si segue il filo rosso del racconto attraverso un gran numero di stanze, passaggi, scale, corridoi, fino alla fine, che è un gomitolo rosso. L’opera di Ottonella Mocellin ha questo impianto lineare che in effetti è più letterale che sostanziale. Di fatto la narrazione si sfrangia e si frantuma in visioni e apparizioni. Nella cantina una proiezione video restituisce l’immagine delle mani che dipanano il filo attraverso un lungo percorso attraverso la casa: come la struttura di un racconto senza racconto o con un altro racconto che è quello offerto dalla visione dell’attraversamento della vecchia casa. Sulla torre un gomitolo rosso che è evidentemente quello del filo che abbiamo visto in immagine sotto. Forse, ma potrebbe esser tutt’altra storia, Dal gomitolo scaturisce il suono di un racconto che narra una storia, antica come la casa, di stregoneria, di rapimenti, di sdoppiamenti e di diversità. La storia è inquietante come la campagna circostante. Fra la cantina, che è la zona della visione, e la torre, che è la zona d’ascolto che il gomitolo parlante ha creato, non c’è più il filo rosso: quel che resta sono allora solo i suoi capi, che tuttavia non sono inizio e fine, e dunque anch’essi si pongono come segni di un’inquietudine. In Tedesco esiste una parola, unheimlich, a cui Freud dedicò un importante scritto, che in Italiano potrebbe esser tradotto con inquietante e che è l’effetto che producono le bambole, i manichini, gli automi,e che alla lettera significa la negazione dell’heimlich, il familiare confortevole e amico. E’ in quest’area incerta che si colloca questo lavoro di Ottonella Mocellin, che pur divergendo dal suo abituale lavoro d’immagine vi ritorna per vie segrete, per le vie segrete del femminile.


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